EPIDEMIOLOGIA DELLA MIOPIA

La prevalenza della miopia nei vari Paesi del mondo è molto variabile. Nella popolazione occidentale, per esempio, risulta presente in un individuo su tre; la sua incidenza invece aumenta all’80% in alcuni paesi asiatici. Si prevede che nel 2030 2,5 miliardi di persone (un terzo della popolazione mondiale) sarà affetto da miopia.

Un recente studio americano su bambini di età prescolare (età 6-72 mesi) rivela una prevalenza dell’1.2% nei caucasici, 3.7% negli ispanici, 3.98% negli asiatici e 6.6% negli afroamericani. Con l’aumentare dell’età, la differenza tra asiatici e caucasici è più evidente (studio australiano su adolescenti in cui la prevalenza negli asiatici è del 42.7% a 12 anni e del 59.1% a 17 anni, contro 8.3% a 12 anni e 17.7% a 17 anni dei caucasici.

Cinquanta anni fa, si riteneva che la miopia fosse genetica, con solo influenze ambientali minori. Numerosi studi sono stati condotti con il fine di identificare i geni che hanno un ruolo importante nello sviluppo della miopia: gli studi sui gemelli hanno riportato una correlazione con la prevalenza della miopia superiore nei gemelli omozigoti rispetto a quelli eterozigoti 31-32; c’è una  forte evidenza di aumentato rischio di miopia correlato al numero di familiari affetti da miopia.

La genetica riveste però solo un ruolo parziale nell’eziologia della miopia; infatti da sola non potrebbe spiegare il rapido cambiamento di prevalenza osservato in tutto il mondo. La causa sottostante della miopia consiste in una combinazione di fattori genetici e ambientali. I trigger ambientali correlati ad un aumentato rischio di sviluppo sono l’ambiente urbano, elevati QI, educazione e stato socioeconomico, un aumento del tempo speso effettuando lavoro da vicino o al chiuso.

Si presume che lo sforzo accomodativo durante il lavoro prossimale possa essere un fattore di rischio nello sviluppo della miopia.

La visione prossimale può influenzare la miopia direttamente attraverso l’accomodazione o indirettamente a causa dei fenomeni ad essa correlati. È stato ipotizzato un processo in tre fasi dell’uso eccessivo dell’accomodazione:

  • Una condizione refrattiva simile alla miopia può essere raggiunta per un eccesso di accomodazione, come se l’accomodazione rimanesse per un tempo superiore al normale parzialmente attiva e, alternando la visione da vicino a lontano, la focalizzazione in distanza risulti temporaneamente difficile;

  • Successivamente, questa condizione si mantiene per lungo tempo e causa un’alterazione della condizione di accomodazione in posizione di riposo o dell’accomodazione minima, tale da essere indistinguibile dalla condizione refrattiva non accomodata;

  • Infine, questo stato di accomodazione prolungata causa un’alterazione delle strutture anatomiche tale che l’occhio diviene anatomicamente miope.

Il tempo trascorso all’esterno è influenzato da molti fattori, per esempio dall’etnia, da fattori ambientali quali il clima, dai livelli di visibilità e dagli impegni scolastici. Esistono numerosi possibili meccanismi che giustifichino l’effetto protettivo del tempo trascorso in attività all’aperto. Di questi fanno parte l’aumento del rilascio della dopamina retinica in risposta alla luce del sole (la dopamina inibisce l’allungamento assiale nella miopia sperimentale, e l’effetto protettivo può essere bloccato dall’antagonista della dopamina, lo spiperone); l’intensità luminosa maggiore in ambienti all’aperto (miosi pupillare, aumento della profondità di campo, diminuzione dello sfocamento e rallentamento della crescita del bulbo) , e una richiesta accomodativa inferiore per la visione in lontananza.

Gli studi sperimentali supportano l’evidenza di fattori ambientali dall’epidemiologia umana. Questi studi dimostrano che i cambiamenti nell’esperienza visiva mediante l’applicazione di diffusori o di lenti sia positive che negative agli occhi possono generare segnali che promuovono la crescita degli occhi, portando a miopia, oltre a segnali che rallentano la crescita degli occhi.

In particolare lo studio su modelli animali ha permesso la differenziazione tra i ruoli dei fattori genetici e dei fattori ambientali: i primi determinano la suscettibilità alla miopia (età di esordio, velocità di progressione, errore refrattivo finale), i secondi invece sono potenti modificatori della crescita dell’occhio e possono ignorare le predisposizioni genetiche.